Il Museo di Palazo Pitti a Firenze ricostruisce con ottanta esemplari la storia delle calzature .
Resta aperta fino al 19 aprile del 2020, al museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti di Firenze, la mostra “Ai piedi degli dei. Le calzature antiche e la loro fortuna nel Novecento” uno straordinario percorso visivo che testimonia il rapporto tra la calzatura e il mondo occidentale.
Una narrazione lungo i tempi che collega un lasso temporale lontano, dall’antichità ai giorni nostri, rendendolo atemporale ai nostri occhi. I calzari romani diventano retorici se accostati alle scarpe firmate da Celine: eppure, l’esposizione è così fortemente intuitiva da legare con un fil rouge, l’antico e il nuovo mondo.
Presso i Romani le calzature erano talmente importanti che per le strade di Roma vi erano diverse botteghe di ‘caligai’, i moderni calzolai. Si distinguevano specificatamente tre tipologie di calzature: i sandali (sandalia o soleae), le ciabatte (socci) e le “scarpe” (calcei). Sotto la toga si indossavano i calcei che si distinguevano in calceus patricius e calceus senatorius. Il primo era realizzato con quattro strisce di cuoio e chiuso da una striscia di pelle (ligula) ornata da una fibula d’avorio (lunula). Il secondo era simile al primo ma in cuoio nero anziché rosso. Altre tipologie di calzature erano il pero (pelle non conciata e avvolta al piede), la caliga (di uso militare) e la sculponea (zoccolo in legno usati da ceti meno abbienti come schiavi e contadini).
Le calzature femminili erano simili a quelle maschili ma si differenziavano per l’uso di pellame più morbido.
La mostra sulle scarpe a Firenze raccoglie a sé fonti storiche di caratura storico-culturale. L’impianto espositivo, infatti, vede protagoniste circa ottanta opere, alcune di queste giunte da musei internazionali come il Louvre. La Roma Antica e la civiltà greca sono messe a confronto con il mondo contemporaneo. Con griffe che si sono dichiaratamente ispirate alle scarpe appartenute ai popoli passati come: Genny, Richard Tyler, Celine, Donna Karan e Renè Caovilla.