Dopo l’uccisione di George Floyd, anche il dorato mondo della moda è accusato di discriminazione
Il movimento “Black Lives Matter”, nato spontaneamente per reazione all’uccisione di George Floyd per l’eccesso d’uso della forza da parte della polizia Usa, colpisce con le sue denunce civili anche il mondo della moda. Lo fa accusando un simbolo che fino a ieri ha ispirato solo film, libri e svariate leggende: Vogue Usa e la sua eterna direttrice Anna Wintour.
Quello che è considerato il più autorevole, e per questo temuto, account del settore, Diet Prada, ha raccolto una serie di testimonianze su storie di ordinaria discriminazione avvenute proprio tra le quattro mura di Vogue. Si va da stipendi al ribasso e orari di lavoro infiniti al nepotismo e bullismo da parte dei colleghi bianchi nei confronti per personale afroamericano.
Un esempio lampante viene dalla constatazione che nei 127 anni di storia della storia della rivista solo un fotografo nero è stato l’autore di una copertina, e sono solo 21 le donne nere che vi sono state ritratte.
In un clima che non è deve essere mai stato facile per gli afroamericani se Shelby Ivey Christie, media planner a Vogue nel 2016, ha definito la sua esperienza nella rivista più importante del settore «la più impegnativa e squallida della mia vita».
Lettera al personale
Anna Wintuor
direttrice Vogue
Mi rivolgo specialmente ai membri neri del nostro team. Voglio dire in maniera chiara che so che Vogue non ha fatto abbastanza per promuovere e dare spazio a giornalisti, scrittori, fotografi, designer e creativi neri. Noi stessi abbiamo fatto degli errori pubblicando immagini o storie che possono essere risultate dolorose o intolleranti. Mi prendo la piena responsabilità di questi errori.