Produzione, export e consumi interni crescono, con percentuali a due cifre, e in valori assoluti
Dopo un 2021 a +15,2%, il menswear italiano si prepara a chiudere il 2022 con un fatturato attorno agli 11,3 miliardi di euro, in crescita del +20,5%, superando così i livelli pre-Covid, secondo le stime elaborate dal Centro Studi di Confindustria Moda. In territorio positivo anche il valore della produzione, che presenta un incremento stimato nella misura del +8,5% rispetto al 2021.
È l’export a trainare la corsa del settore, con la previsione di una variazione su base annua pari al +26,1% ed un valore che raggiungerà gli 8,4 miliardi di euro, con un’incidenza sul comparto pari al 73,8%. Relativamente ai mercati di approvvigionamento, la Cina si conferma il top supplier con un’incidenza del 17,1% (+81,1% rispetto al 2021). Seguono il Bangladesh (+77,4%), la Francia (+16,6%), i Paesi Bassi (+46,4%), tradizionale ingresso per merci di provenienza asiatica.
Quanto agli sbocchi commerciali, sia le aree Ue che extra-Ue si rivelano favorevoli per il comparto, incrementandosi rispettivamente del +27,7% e del +25,1%. Il mercato Ue copre il 46,3% dell’export totale di settore, mentre l’extra-Ue risulta il maggior “acquirente”, assorbendo il 53,7%.
Circa le principali destinazioni, nel periodo in esame il primo mercato di sbocco del menswear Made in Italy è risultato la Germania (+24,9%), seconda la Francia (+31,1%) e terza la Svizzera (+15,8%), principale hub logistico-commerciale del lusso. I flussi verso gli Usa, quarto mercato, salgono a 608 milioni di euro ed evidenziano una variazione su ritmi molto vivaci, guadagnando il +70,9%. La Cina si mantiene al quinto posto: le vendite di menswear verso l’ex Celeste Impero crescono del +17,4%.
Per quanto riguarda l’analisi delle dinamiche che hanno caratterizzato il consumo sul mercato nazionale, secondo i dati consuntivi della stagione 2021-2022, da settembre 2021 a febbraio 2022, il comparto nel suo complesso aveva archiviato una variazione positiva a doppia cifra, pari al +31,4%.
Nel medesimo periodo, relativamente alla distribuzione, le catene si erano confermate il canale con la maggior quota di mercato (40,1% a valore), seguite dal dettaglio indipendente (24,1%) e dalla Gdo (20,7%). Il canale digitale era, invece, sceso all’8,7%.