La filiera degli abiti usati, si potrebbe dire appena nata, è oggi in crisi: c’è troppo usato, di bassa qualità, l’estero non assorbe più le eccedenze e, soprattutto, la moda veloce portata avanti da veri e propri colossi come Zara o H&M hanno relegato l’usato ad un ruolo sempre più marginale.
Nemmeno i ricchi comprano, come è stato per un breve periodo, abiti usati di alta qualità: in generale, spiegano gli operatori che negli ultimi anni si erano impegnati nel settore, la qualità dei materiali è precipitata e i vestiti usati non arrivano più ad essere indossati da un secondo proprietario. Secondo Legambiente, il 70,4% dei capi presenti nei negozi contiene sostanze estremamente aggressive e l’impiego di sostanze chimiche nell’industria tessile causa ogni anno tra i 500 mila e i 2 milioni di casi di avvelenamento tra i lavoratori, di cui 40 mila mortali. Il comparto tessile impiega enormi quantità d’acqua per fissare i colori, rimuovere impurità e generare vapore. Oltre il 10% del totale dei pesticidi e il 25% degli insetticidi viene impiegato per il cotone.
Oltre Atlantico sembra che i giovanissimi cerchino gli abiti usati per indossarli una volta e rivenderli
Qualche speranza potrebbe ancora venire da oltreoceano: il rivenditore di abbigliamento di seconda mano thredUP ha appena pubblicato il suo rapporto annuale di vendita di moda usata e riporta che, negli ultimi tre anni, la vendita dell’usato è cresciuta 21 volte più velocemente della vendita al dettaglio di abbigliamento. Il mercato dell’usato in America, che attualmente vale 24 miliardi di dollari, potrebbe raggiungere 51 miliardi di dollari in cinque anni.
Un numero crescente di nati tra il 1997 e il 2010, la cosiddetta ‘generazione Z‘, acquisterà abbigliamento di seconda mano nel 2019: complessivamente, il 64% delle donne dichiara di voler acquistare abiti usati, scarpe e accessori, rispetto al 45% del 2016.