Per decisione del Ministero dei beni culturali, la moda entra ufficialmente a far parte del patrimonio culturale italiano: il Ministro Alberto Bonisoli lo aveva annunciato da tempo e la commissione di studio appositamente istituita ha concluso i lavori stilando una road map per equiparare il settore del fashion ai dipinti, alle sculture, all’architettura e quant’altro che hanno attraversato la storia nazionale nei secoli.
La commissione ha dapprima mappato il patrimonio esistente sul territorio nazionale, con la collaborazione degli archivi del Novecento, con interviste a studenti e designer, con lo studio di quanto accade all’estero: secondo la commissione, la priorità è istituire un network “che includa istituzioni conservative, espositive e interattive al fine di affiancare e sostenere i luoghi della moda già esistenti, e cioè i siti in cui la moda viene prodotta, distribuita, conservata, raccontata: dai grandi centri ai distretti, dall’industria al laboratorio artigianale, dal museo di provincia fino all’archivio editoriale, dall’archivio aziendale alla biblioteca”. Il network si chiamerà LuMI – Luoghi della Moda Italiana: nome e acronimo intendono sintetizzare “il concetto di spazi, luoghi connessi all’interno di una realtà diffusa e polifunzionale”.
L’impegno del ministero ai beni culturali dovrà valorizzare le grandi città della moda e i centri minori
Il Ministero dovrà poi occuparsi di valorizzare le città della moda Milano, Firenze, Roma e Napoli, ma anche le realtà periferiche, dal momento che il sistema della moda italiana è molto diffuso sul territorio, con grande ricchezza e varietà. Alla realizzazione del sistema museale della moda dovranno dunque partecipare realtà private, aziendali e istituzionali.
Per questo, la Commissione ha invitato il ministero “ad attivare una politica inclusiva e di dialogo con istituzioni e associazioni private che già stanno lavorando su questo tema e ha posto all’attenzione del Ministro la questione degli archivi aziendali. Un tema che deve essere analizzato e risolto proteggendo i beni presenti sul territorio nazionale in accordo con le aziende che hanno costruito e continuano a generare il Made in Italy”.