Tre manifesti post-covid propongono cambiamenti radicali per la sostenibilità ambientale e etica
L’industria della moda sarà costretta, nel dopo pandemia, a rimodulare le proprie strategie a partire dalla revisione dei processi di delocalizzazione delle produzioni, e dalle eccessive produzioni di abiti economici ma “poco durevoli”.
Questo anche per andare incontro alle richieste delle ultime generazioni che alla sostenibilità sociale e ambientale sono maggiormente attenti. In una chiave particolarmente radicale si presentano i tre “Manifesti” proposti con spirito utopico dal mondo accademico.
Il primo si chiama “Earth Logic Fashion Action Research Plan”: sviluppato da Kate Fletcher e Mathilda Tham, co-fondatrici della “Union of Concerned Researchers in Fashion” che conta oltre 400 membri. Il piano sostiene propone di scambiare la logica della crescita economica con la logica della terra prendendo decisioni che siano basate esclusivamente sulla sostenibilità ambientale ed ecologica. In questo contesto, la velocità del “fast fashion” è la caratteristica maggiormente negativa dell’industria tessile e dell’abbigliamento che sottrae alle persone il piacere dell’abito che indossano.
Secondo manifesto è il “Slow Fashion to Save Minds” redatto dalla creativa multidisciplinare Georgina Johnson, che, per la prima volta, ha avvicinato le tematiche della sostenibilità e quelle della malattia mentale. In estrema sintesi, la teoria sostiene un approccio più umano alla moda, con un’enfasi sulla salute mentale e il benessere delle persone piuttosto che sulla produttività.
Ultimo manifesto è il “And Beyond”, di cui sono co-fondatori Amy Foster-Taylor e Will Bull: l’idea è che l’industria della moda ha contribuito a dar vita a sistemi oppressivi di stampo colonialista e con una piena mancanza di etica e sostenibilità sociale. “And Beyond” crede che la moda debba adottare sistemi che rispecchiano la natura, un sistema ‘glocal’ con visioni diverse che emergono in località diverse e in un sistema ‘post-coloniale’.