Nell’ambito delle consultazioni predisposte dalla Commissione Agricoltura della Camera sulla situazione e sui problemi del settore agroalimentare, è stata ascoltata l’Unci Pesca, l’unione delle cooperative della pesca e dell’acquacoltura che ha sottolineato come, mai come in questo momento, il settore della Pesca vive una fase di profonda crisi e una condizione di stasi paralizzante, causata dalla mancanza di un piano programmatico e strutturale in grado di prendere in debita considerazione, non solo la politica di conservazione e la sostenibilità degli stock, ma anche gli impatti socio-economici delle misure e la redditività del settore.
«Inevitabilmente – spiega l’Unci Pesca – qualsivoglia scelta di carattere politico-economico ha effetti sull’ambiente e sull’attività di pesca, rendendola più o meno conveniente o totalmente improduttiva. È necessario pertanto garantire, per una nuova Politica della Pesca, un giusto e corretto equilibrio tra uomo, risorse e ambiente. I nostri soci coimprenditori pescatori-armatori, oggi più che mai hanno bisogno di risposte chiare e di interventi diretti alla salvaguardia di un settore che stenta ormai a sopravvivere. Nonostante la sua importanza, il settore ittico si trova spesso a “subire” una politica gestita in modo centralistico con una matrice culturale essenzialmente biologistica, poco articolata, avulsa da criteri e metodiche economiche ma di sensibile impatto sociale».
I problemi della pesca: il pesce a chilometro zero non fa strada
Nel corso dell’audizione parlamentare l’Unci Pesca ha posto l’accento sui problemi da affrontare e ripetutamente denunciati dagli operatori del settore a cominciare dall’ingresso nel mercato di competitor aggressivi come la Slovenia, Croazia, Svezia, Spagna e Francia che emarginano le attività di pesca in termini di caduta dei prezzi e della domanda con riflessi immediati sulla redditività e gli occupati. «Il pesce a chilometro zero in Italia – commenta l’Unci – non fa strada e si continua a preferire l’importazione all’incremento e all’incentivazione della produzione locale. Stimolare il consumo di pesce locale, proveniente da pesca rispettosa e selettiva, è l’obiettivo per una ottimale compatibilità tra risorse e territorio». È da dire che in generale gli italiani mangiano sempre meno pesce fresco (-3,4% nel 2012) e che il consumo si concentra su poche specie rispetto a quelle che può offrire il Mediterraneo.
Altro problema è quello conseguente alla applicazione delle normative europee alle imprese a carattere familiare: licenza a punti, marcatura degli attrezzi da pesca, installazione di apparati di controllo Blue Box e l’obbligo del giornale elettronico di bordo alle unità di pesca di L.F.T. comprese tra 12 e 15 metri. A tale normativa europea di aggiungono poi le disposizioni in materia di commercializzazione e tracciabilità che comportano dinamiche operative/documentali a vantaggio delle grandi imprese e inapplicabili per le imprese che praticano la piccola pesca.
I problemi della pesca: manca il ricambio generazionale
Ci sono poi i problemi, lamenta l’Unci Pesca, dettati dai ritardi delle Amministrazioni regionali nell’attuazione del Fondo Europeo Pesca (FEP), i costi della burocrazia del settore e il rapporto difficoltoso con le Autorità preposte alla gestione della pesca, l’aumento dei prezzi del gasolio, del lavoro e l’incremento dei costi di adempimento, che hanno reso antieconomica l’attività di pesca.
In questo quadro va presa in considerazione «l’impossibilità di praticare in maniera costante e regolate l’attività di pesca a causa delle particolari condizioni morfologiche e idrologiche del territorio, del fermo pesca biologico e delle variazioni climatiche e stagionali che, assieme, producono effetti negativi sul reddito mentre aumentano i costi di mantenimento delle attività. Tali limitazioni e difficoltà possono essere superate con lo svolgimento nel nostro mare di attività tipiche complementari al settore ittico. Serve rivoluzionare la figura professionale del pescatore e sostenere quelle attività che uniscono la pesca alla cultura del luogo, al paesaggio e alla natura. Serve implementare, quindi, quelle attività di integrazione al reddito e di pesca sostenibile quali il Pescaturismo e Ittiturismo».
Con un occhio anche alle esigenze sempre più pressanti di un ricambio generazionale in un settore che si dimostra sempre meno attrattivo perché faticoso, troppo costoso, poco remunerativo e lungo da imparare. «Il calo degli addetti, di circa il 40% nell’arco di questi ultimi dieci anni – conclude l’Unci Pesca – impone un investimento sulle professioni più innovative: l’attività di “guardiano del mare”, la ristorazione legata alla pesca e la valorizzazione delle specie dimenticate, il pescaturismo».