Franco ManzatoAssessore Manzato, quale sarà il futuro dell’agricoltura veneta?

Io non ho molti dubbi: sarà quello di una diversa cultura agricola, capace di attirare su di sé
l’interesse della comunità intera, che non può permettersi di non valorizzare la sua qualità e le
molteplici funzioni che svolge, pena la rinuncia all’indipendenza agroalimentare e alla capacità
delle proprie imprese di essere attori sulla scena socioeconomica. L’economia rurale non può
essere disgiunta dal destino e dal reddito delle nostre imprese e deve rimanere autonoma per essere
vitale sottraendosi alle lusinghe di sirene economiche, la gran parte straniere, il cui obiettivo,
peraltro legittimo, non è quello di valorizzare le aziende, ma di accrescere i propri profitti. Per
dirla in altre parole: in una società che tende all’obesità, ho seri dubbi che certe multinazionali si
pongano davvero il problema di come rispondere alla esigenza di sfamare l’umanità, sapendo che
il loro reddito dipende dal mercato dei ricchi, non da quello dei poveri e che da anni ormai anche
l’agricoltura risponde più a logiche di speculazione che a quelle di una necessaria iniezione di etica
nella società e nella economia.

E’ quindi necessaria una politica di protezione delle nostre aziende, per proteggere anche la nostra
società?

Essere ‘liberal’ non significa estraniarsi dall’intervento pubblico, ma semmai operare ancora di
più, per renderlo efficace ed efficiente rispetto all’esigenza di liberare le potenzialità delle nostre
aziende, eliminando la burocrazia, forme di dirigismo dirette e indirette, ricatti economici e trattati

internazionali che non risolvono alcuno dei problemi degli agricoltori, che in queste sedi diventano
una merce di scambio in nome quasi sempre di interessi diversi. Significa operare per liberare i
consumatori dall’ignoranza nella quale sono volutamente tenuti sull’origine e le caratteristiche dei
prodotti. Vuol dire lavorare per liberare la catena distributiva da strettoie che alla fine penalizzano
solo le estremità della filiera, cioè produttori e consumatori. Ma dobbiamo intendere la libertà anche
come liberazione da una scienza che viene considerata utile e finanziata non tanto in base ai risultati
complessivi e sociali, ma per i profitti che può creare a qualcuno.

Tutto ciò senza cadere in utopie: credo sia necessario collocarsi in una via mediana di equilibrio
realistico. Come si prepara il Veneto a questo futuro?

A febbraio il mondo agricolo veneto concluderà il confronto avviato al proprio interno e con la
società regionale per definire un percorso comune pubblico e privato lungo il quale indirizzare le
forze nel prossimo decennio, in uno sforzo corale che dovrà portare la nostra agricoltura e le nostre
aziende oltre le scadenze di una politica europea che ogni mese che passa mostra rughe, falle e
crepe, ma che deve invece diventare lo scudo del territorio e di chi lo lavora in tutto in vecchio
continente.