Le produzioni agroalimentari e agroindustriali italiane dipendono per oltre il 50% dall’importazione di materie prime vegetali dall’estero. Un “gap” che è ulteriormente allargato dal modesto investimento in Ricerca del nostro Paese, pari all’1% del Pil, che colloca l’Italia non solo dietro a Francia, Germania e Regno Unito, la cui spesa va dal 2 al 2,5% del Pil, ma anche ben al di sotto della media europea (1,93%). Sono i dati che fotografano il ritardo che l’economia nazionale sta accumulando nei confronti del mondo dell’agricoltura e delle piante: se ne parla nel corso del Fascination of Plants Day, evento mondiale promosso dall’EPSO – European Plant Science Organization celebrato in contemporanea in 38 nazioni il 18 maggio.
Nei prossimi 30 anni, l’agricoltura dovrà produrre più cibo, più fibre e più biomasse per sopperire al fabbisogno di 9 miliardi di persone. Secondo la Fao (Food and Agriculture Organization) questo richiederà un aumento del 70% della produzione agricola, obiettivo che dovrà essere raggiunto in un contesto agricolo globale in cui la disponibilità di nuovi terreni coltivabili e di risorse naturali, soprattutto di acqua, va diminuendo. Anche in Italia l’agricoltura avrà un ruolo di crescente importanza, soprattutto considerando che importiamo circa il 50% della materia prima vegetale utilizzata nelle filiere agroalimentare ed agroindustriale, per la produzione di cibo destinato agli uomini e agli animali, ma anche per i preziosi prodotti non alimentari che provengono dalle piante come carta, legno, composti chimici, energia e farmaci.
«Per diminuire questa dipendenza dalle importazioni e per alleviare la spesa per l’alimentazione, pari al 19% del bilancio delle famiglie italiane, è indispensabile investire in ricerca ed innovazione» conclude il professor Roberto Tuberosa, coordinatore scientifico di It-Plants e professore ordinario di Genetica Agraria dell’Università di Bologna.