Gli scandali alimentari non riguardano solo la carne: negli Stati Uniti buona parte del pesce è commercializzato sotto falso nome. La denuncia arriva da Oceana, un’associazione ambientalista che in due anni di lavoro ha effettuato una delle più importanti indagini di questo genere mai realizzate, analizzando il DNA di 1.215 campioni di pesce raccolti in 674 punti vendita di 21 stati. Con risultati allarmanti: in un terzo dei casi la specie non corrispondeva a quella segnalata sul cartellino e spesso non faceva neanche parte delle specie commercializzate.
«Questi dati mettono in evidenza che le frodi nel settore ittico sono tuttora numerose anche in Paesi evoluti dal punto di vista dei controlli e delle tecniche per effettuarli», spiega Valentina Tepedino di Eurofishmarket che dal 2000 sta conducendo in Italia – insieme a università e Istituti Zooprofilattici Sperimentali – indagini su frodi di sostituzione nel campo ittico. Evidenziando risultati in linea con quelli americani.
«Anche in Italia il settore dove c’è più rischio di frodi è quello dei sushi restaurant o sushi bar, e nella medio-bassa ristorazione» ricorda Tepedino. I problemi più spesso riscontrati sono la vendita di una specie per un’altra, di prodotti decongelati per freschi e di prodotti esteri per nostrani. Un segnale positivo arriva invece dalla grande distribuzione: «Esselunga è stata la prima nel 2000 a collaborare con questa ricerca per verificare la possibilità che i filetti di pesce loro forniti non fossero corrispondenti a quanto richiesto, – conclude Tepedino – e ancora oggi verifica a campione i suoi fornitori, riducendo praticamente a 0 la possibilità di questo tipo di frodi».
L’inganno sul pesce: a rischio il sushi
Complessivamente il 44% dei punti vendita esaminati nell’indagine Oceana offriva pesci con etichettature errate: il record negativo spetta ai locali dove si serve sushi (74%) seguiti da ristoranti (38%) e pescherie (18%) con una distribuzione abbastanza uniforme nei vari stati. Alcune delle frodi puntano a sostituire pesci selvaggi con specie di allevamento di minor valore commerciale, altre a mettere in commercio specie protette o che non dovrebbero essere pescate, altre ancora potrebbero causare problemi di salute: per esempio per la presenza di pesce proveniente da aree inquinate, o che può creare allergie o problemi di salute, come l’escolar (Lepidocybium flavobrunneum), spesso venduto come “tonno bianco” in cui è presente una tossina che può causare disturbi gastrointestinali, ragion per cui il commercio in alcuni paesi tra cui l’Italia è proibito.
Dato che i controlli di Oceana sono stati fatti a livello di vendita, non è facile capire in quale fase sia avvenuta l’etichettatura scorretta, spiegano gli estensori del manifesto: resta il fatto che è necessario un sistema di controllo più efficiente, in grado di tutelare i consumatori ma anche i produttori onesti, oltre che la salute dei nostri mari.