Un articolo sul prestigioso periodico internazionale “Journal of Agricultural and Food Chemistry” ha lanciato l’allarme: oltre il 30 per cento dei prodotti ittici venduti in Spagna e in Grecia ha etichette sbagliate o per la specie indicata o per l’indicazione di provenienza. A scoprirlo è stato un gruppo di ricercatori dell’Università di Oviedo e dell’Università di Salonicco, che, per identificare le specie vendute e la loro provenienza, hanno eseguito esami del DNA sul pescato venduto.
L’esame, condotto sia su pesce fresco sia su pesce congelato, ha rivelato che le indicazioni erano errate ben nel 38,9 per cento dei casi. Specie del Sud Africa, come il Merluccius capensis, erano etichettate come specie del Sud America o come l’unica specie di nasello europeo. Ancor più grave appare che pesce pescato in Africa fosse etichettato come americano o europeo, per strappare ai consumatori un prezzo superiore. In realtà, le qualità nutrizionali delle specie sono pressoché uguali, ma è evidente che una fasulla etichettatura lede il diritto dell’acquirente di sapere che cosa mangia e la sua provenienza.
Una analoga ricerca era stata condotta anche cinque anni fa nelle stesse aree: il fatto che all’epoca fosse stato rilevato un tasso di errori attorno al 31% e che queste erronee comunicazioni siano oggi al 39% non può essere casuale. Per quanto il dato sia riferito esclusivamente alla Spagna e alla Grecia (paesi che per altro forniscono molto pesce ad alcune reti della grande distribuzione italiana) la cosa non può non preoccuapre. Anche perchè la correttezza delle informazioni fornite può essere rilevante per persone che siano allergiche a particolari specie o perché in particolari momenti e in determinate aree si possono essere verificati incidenti ecologici (si pensi ad esempio a casi di sversamento di petrolio o altri inquinamenti).