La guida della Repam (Rete Ecclesiale Pan-Amazzonica) traduce concetti complessi in un linguaggio accessibile

Con l’intento di contribuire alla prossima Conferenza sul Clima dell’Onu, è stata pubblicato il manuale“ abc della Cop30.

Tutto sulla Conferenza del Clima dell’Onu e sull’importanza della Cop30 in Amazzonia”, voluto dalla Repam (Rete Ecclesiale Pan-Amazzonica). È una guida essenziale per comprendere i principali temi e sfide della lotta climatica globale. Pensato per la mobilitazione dei popoli per la Terra e per il clima, il manuale traduce concetti complessi in un linguaggio accessibile, promuovendo la partecipazione attiva della società civile in vista della Cop30, che si svolgerà in Brasile dal 10 al 21 novembre prossimi.

La conferenza delle Parti è l’evento più importante di quelli dedicati al clima e quest’anno si terrà a Belém, nel cuore dell’Amazzonia. L’evento rappresenterà un’opportunità storica per porre le voci delle comunità dell’Amazzonia al centro delle decisioni globali sulla lotta contro la crisi climatica. Per rafforzare questa agenda di giustizia climatica e ampliare l’accesso all’informazione sulla Cop30, la Mobilitazione dei Popoli per la Terra e il Clima (iniziativa della Repam Brasile) ha diffuso appunto il suddetto manuale. Il materiale che vi è contenuto è stato elaborato per rendere i dibattiti climatici più accessibili e inclusivi, specialmente per le popolazioni che sono in prima linea nella preservazione dell’Amazzonia e affrontano direttamente le conseguenze dei mutamenti climatici. Il manuale mira a “democratizzare” la conoscenza della Cop30 e a permettere alla popolazione in generale, e in particolare alle comunità indigene, quilombolas, rivierasche ed estrattiviste, di comprendere meglio l’impatto di questo evento e come possano partecipare attivamente ai dibattiti.

«Il manuale è importante perché spiega, in modo chiaro e obiettivo, come funziona la Cop. Capire la Conferenza è il primo passo affinché le persone, e soprattutto la società civile organizzata, si preparino a vivere l’appuntamento in Brasile in maniera produttiva. Sapendo come funzionano gli spazi e quali temi sono in discussione, ognuno può unirsi ai collettivi che si stanno organizzando al fine di chiedere ai rappresentanti istituzionali e di governo le azioni necessarie per contenere l’avanzare della crisi climatica, evidente negli episodi sempre più comuni di siccità, inondazioni, allagamenti e incendi», sottolinea Sandra Rocha, del settore comunicazione del “Vertice dei Popoli”. In sintesi dunque il manuale fornisce spiegazioni chiare sui principali temi della Cop30 e sulla sua importanza per combattere la crisi climatica; informazioni sul ruolo fondamentale delle comunità amazzoniche nella lotta contro i mutamenti climatici e nella preservazione della biodiversità; indicazioni pratiche su come queste comunità possono prepararsi a partecipare e influenzare i dibattiti; esempi ispiratori delle iniziative locali che stanno facendo la differenza; un glossario di termini climatici che mira a facilitare la comprensione dei concetti tecnici; dati sull’Amazzonia e sulla sua importanza nell’equilibrio climatico globale. Il manuale, che può essere scaricato gratuitamente in formato digitale, è un invito affinché tutti, specialmente quanti sono direttamente colpiti dai cambiamenti climatici, possano partecipare alla Cop30 e alle decisioni che plasmeranno il futuro del pianeta. «L’informazione è uno strumento potente» afferma Mayara Lima, esponente della “Comunicazione della Mobilitazione” e del team editoriale” del manuale.

«Nel quadro della crisi climatica, dare alle comunità dell’Amazzonia accesso all’informazione significa garantire che possano agire in maniera efficace e influente sulla scena globale». Come Chiesa incarnata e inculturata in Amazzonia, la Repam ha lavorato instancabilmente per rafforzare le voci dei movimenti territoriali e sociali dell’Amazzonia, mirando ad esercitare a un’incidenza significativa sui dibattiti climatici in vista della Cop30. Fa anch’essa parte del “Vertice dei Popoli”, una coalizione di oltre 400 organizzazioni che sta guidando azioni strategiche in difesa del clima, delle foreste e dei diritti umani. «Questo manuale è un ponte che connette i territori amazzonici ai dibattiti globali», afferma dom Evaristo Pascoal Spengler, presidente della Repam Brasile. «Rafforza la conoscenza di quanti già si prendono cura dell’Amazzonia da generazioni e prepara queste comunità a svolgere un ruolo decisivo nelle negoziazioni». Con azioni in tutta l’Amazzonia Legale, la Repam, che per la Cop30 ha aperto un ufficio a Belém, sta promuovendo incontri ed eventi che rafforzano l’importanza di un piano solido e integrato per la difesa dell’ambiente e dei diritti delle popolazioni tradizionali. Il manuale è un ulteriore passo per rafforzare il protagonismo delle comunità amazzoniche nella Cop30, ma la sua importanza va ben oltre l’evento. Mira a essere un punto di partenza per una mobilitazione collettiva in difesa di un futuro più giusto e sostenibile per il pianeta. La Rete Ecclesiale Pan-Amazzonica – REPAM Brasile della quale sono membro attraverso il comitato dell’archidiocesi di Santarem – è una rete ecclesiale della Chiesa cattolica nell’Amazzonia Legale, che ha come obiettivo quello di promuovere la vita, per mezzo della cura dei popoli, dei territori e degli ecosistemi amazzonici e di accrescere la consapevolezza dell’importanza dell’Amazzonia per tutta l’umanità, per mezzo di un’azione socio-ecclesiale articolata in reti. La Repam Brasile, voluta da papa Francesco e dal cardinale Hummes,  dal 2014, è un’organizzazione che lavora a fianco delle comunità e dei movimenti sociali dell’Amazzonia, promuovendo il dialogo, l’articolazione e la difesa dei diritti umani, della giustizia climatica e della preservazione dell’ambiente. Non è possibile riflettere sui cammini di evangelizzazione nel grande territorio amazzonico senza tener conto del tema ecologico. Lo stesso documento preparatorio al Sinodo panamazzonico(2019), fedele all’impostazione della Chiesa latinoamericana, apri’ la propria riflessione presentando una panoramica della realtà ecologica dell’Amazzonia, per aiutare gli operatori pastorali a elaborare cammini di evangelizzazione inculturati.

È importante ricordare, a questo proposito, coloro che per difendere l’Amazzonia con i suoi popoli e la sua rigogliosa natura, hanno rischiato e dato la vita. Tra questi ricordiamo: padre Ezechiele Ramin, suor Dorothy Stang, Chico Mendes e il vescovo emerito Erwin Krautler. Il bacino amazzonico rappresenta per il nostro pianeta una delle maggiori riserve di biodiversità (dal 30 al 50% della flora e fauna del mondo), di acqua dolce (20% dell’acqua dolce non congelata di tutto il pianeta); possiede più di un terzo dei boschi primari del pianeta e, benché i maggiori serbatoi di carbonio siano in realtà gli oceani, non per questo si può ignorare il lavoro di raccolta di carbonio in Amazzonia. Ciononostante, questi dati non delineano una regione omogenea. Nella foresta amazzonica non troviamo solamente una grande varietà di specie di animali e di piante, ma la stessa foresta è differenziata. Esiste, infatti, una foresta situata in aree basse, che soffre inondazioni periodiche, conforme alle piene dei fiumi. I terreni di queste zone sono particolarmente fertili a causa dei sedimenti lasciati dai fiumi. Le specie che incontriamo in questa zona della foresta amazzonica sono: andiroba, jatobá, seringueira e samaúma. Esiste anche la foresta così detta igapò, localizzata in aree ancora più basse e che, a causa di ciò, soffre maggiori inondazioni e spesso si trova allagata. Per sopravvivere in queste condizioni, le piante nei secoli hanno elaborato diverse strategie ben conosciute dai popoli indigeni. Esempi di queste specie sono: vitórias-régias, buritis, orchidea e bromelia. Esiste, infine, la foresta di terra ferma: non soffre inondazione a causa della sua posizione alta rispetto al resto del territorio. La vegetazione che s’incontra in queste zone della foresta è definita di grande peso, come ad esempio i castagneti.

La biodiversità della foresta amazzonica è esuberante e i suoi numeri sono impressionanti. Più di 1.300 specie di uccelli; più di 3.000 specie di pesci; più di 30.000 specie di piante; 1.800 specie di farfalle; 427 specie di anfibi; 378 specie di rettili; più di 3.000 specie di api; 311 specie di mammiferi. Occorre poi sottolineare che molte di queste specie esistono solo in Amazzonia. Per questo motivo, la conservazione dell’Amazzonia come quella degli altri biomi dell’Africa e del sudest asiatico è di grande importanza. I maggiori problemi ambientali che attingono la foresta amazzonica sono: il disboscamento, la creazione di zone esclusive per far pascolare il bestiame, la monocultura della soia, la guerra per ottenere le terre, la caccia e la pesca illegale, l’estrattivismo minerario. Sono testimone della situazione drammatica in cui versa l’Amazzonia brasiliana che per la deforestazione e le “queimadas” si trova sotto una cappa di anidride carbonica e di secca del livello dei fiumi e biocidio della biodiversita’. La citta’ di Santarem e’ sotto una cappa di anidride carbonica come se fossimo a Milano o a Tokio e le popolazioni locali, gli indios, i caboclos e i contadini stanno soffrendo terribilmente per tutto questo!  

Non è possibile un cammino di evangelizzazione in Amazzonia senza tener conto di questa realtà, della complessità delle problematiche che questo territorio presenta. Il pericolo sarebbe un’evangelizzazione ceca, incapace di affrontare i problemi reali, offrendo soluzioni pastorali inadeguate. L’enciclica  Laudato si’(LS) di papa Francesco, l’esortazione postsinodale “ Querida Amazonia” e il motu proprio “Laudate Deo”  indicano alcune chiavi di lettura improcratinabili per la soluzione delle problematiche indicate. «Il Regno che viene anticipato e cresce tra di noi riguarda tutto» (Evangelii gaudium [EG] 181), ricordandoci che «tutto nel mondo è intimamente connesso» (LS 16) e che, pertanto «il principio del discernimento» dell’evangelizzazione è collegato a un processo integrale di sviluppo umano (cf. EG 181). Questo processo si caratterizza, come segnala LS (cf. nn. 137-142), per un paradigma relazionale denominato ecologia integrale, che articola fra loro i vincoli fondamentali che rendono possibile un vero sviluppo. Se questo paradigma vale in generale per i problemi ecologici, ancora di più vale perla complessità dei problemi del territorio amazzonico e, per questo, merita un approfondimento. L’ecologia integrale è un nuovo modo d’intendere la relazione profonda esistente tra tutte le creature del nostro pianeta. Quando si osserva la devastazione che l’intervento irresponsabile dell’uomo sta causando nel territorio amazzonico, non si può che concludere che c’è qualcosa di sbagliato nel modello economico adottato. Il papa afferma e dimostra nella Laudato si’ che tutto è interconnesso (LS 138ss).

L’ecologia integrale indica come cammino di comprensione della realtà che tutto è interconnesso e, di conseguenza, non si può pensare all’Amazzonia come una realtà geografica separata dal contesto. Il sistema di piogge della foresta interferisce in altre regioni del mondo. Tutto è in legame con tutto. La pastora Nancy Cardoso Pereira, in un incontro organizzato dalla Repam Santarem nel luglio 2024 , ricorda come il sistema idrico dell’Amazzonia dipende dalle Ande, e dalla savana brasiliana, che è la culla delle acque. C’è un sottosuolo di acqua, l’acquifero Guaranì, molto grande. A proposito di questa interconnessione che esiste tra gli elementi della realtà, punto cruciale dell’ecologia integrale e sul quale la REPAM sta lavorando in questi mesi di preparazione della Cop 30 a Belem, il documento preparatorio ricorda che il primo grado di articolazione, per un autentico progresso, è il vincolo intrinseco fra l’elemento sociale e l’elemento ambientale: il grido della terra e’ il grido dei poveri! Dato che come esseri umani siamo parte degli ecosistemi che favoriscono le relazioni che danno vita al nostro pianeta, prendersi cura di questi ecosistemi – nei quali tutto è interconnesso – è fondamentale per promuovere sia la dignità di ogni individuo che il bene comune della società, sia il progresso sociale che il rispetto dell’ambiente. Ciò significa che non è possibile un percorso sociale di valorizzazione del territorio amazzonico, senza tener conto del patrimonio culturale acquisito nei secoli dai popoli indigeni, veri custodi della foresta amazzonica. Di conseguenza, il processo di evangelizzazione della Chiesa in Amazzonia non può prescindere dalla promozione e dalla cura del territorio (natura) e dei suoi popoli (culture). Per questo, ha bisogno di stabilire ponti che possano articolare i saperi ancestrali con le conoscenze contemporanee (cf. LS 143-146), particolarmente quelle che riguardano l’utilizzo sostenibile del territorio e uno sviluppo coerente con i sistemi di valori e con le culture dei popoli che abitano questi luoghi, da riconoscere come loro autentici custodi, e in definitiva come loro proprietari (DP 9) I missionari  inseriti nella chiese locali,  evangelizziamo in questo contesto, accompagnando le comunità ecclesiali e non possiamo ignorare la complessità di questi problemi. Il rischio sarebbe un’evangelizzazione disincarnata, fuori dal contesto, che produce una religione alienata, che non aiuta i fedeli a incontrarsi con il Dio che si manifesta nella realtà concreta del suolo amazzonico.

Il Documento preparatorio del Sinodo panamazzonico (2019) voluto dai vescovi e dalle chiese dei nove paesi che costituiscono l’Amazzonia sudamericana, prendendo come riferimento la proposta di papa Francesco che, nell’enciclica Laudato si’ parlava di conversione integrale, ci ricordava che: quando avremo coscienza di come il nostro stile di vita e il nostro modo di produrre, di commerciare, di consumare affettano la vita del nostro ambiente e della nostra società, solo allora potremo iniziare una trasformazione con orizzonte integrale (DP 53).

Queste parole indicano che la fede in Gesù Cristo ha sempre più bisogno di una nuova spiritualità, che si allontani giorno dopo giorno da ogni forma di antropocentrismo e d’individualismo, per raggiungere una spiritualità incarnata che aiuta ogni persona a riconoscere la propria responsabilità nei confronti della creazione. L’ecologia integrale, dunque, ci invita a una conversione integrale. «Questo esige anche di riconoscere i propri errori, peccati, vizi o negligenze» e le omissioni con cui «offendiamo la creazione di Dio», e chiede di «pentirsi di cuore» (LS 218). Il manuale “ abc per la COP 30, ponendosi sulla linea della conversione integrale come conseguenza immediata dell’ecologia integrale proposta da papa Francesco nella Laudato si’ e Laudate Deo,  invita a riflettere sul livello di coscientizzazione dei cristiani sugli stili di vita adottati, sia personalmente che comunitariamente. C’è un modo di produrre, commerciare, consumare che influenza la vita dell’ambiente e della società. Il percorso di preparazione alla Conferenza delle parti dovrebbe aiutare le comunità cristiane a porre in atto delle scelte rispettose dell’ambiente, che stimolino la società civile e politica alla presa di coscienza della necessite dell’urgenza di un tale cammino di conversione ambientale. La Repam ha lavorato instancabilmente per rafforzare le voci dei movimenti territoriali e sociali dell’Amazzonia, mirando ad esercitare a un’incidenza significativa sui dibattiti climatici in vista della Cop30. Fa anch’essa parte del “Vertice dei Popoli”, una coalizione di oltre 400 organizzazioni che sta guidando azioni strategiche in difesa del clima, delle foreste e dei diritti umani. «Questo manuale è un ponte che connette i territori amazzonici ai dibattiti globali», afferma dom Evaristo Pascoal Spengler, presidente della Repam Brasile e della CNBB: «Rafforza la conoscenza di quanti già si prendono cura dell’Amazzonia da generazioni e prepara queste comunità a svolgere un ruolo decisivo nelle negoziazioni».

Con azioni in tutta l’Amazzonia Legale, la Repam, che per la Cop30 ha aperto un ufficio a Belém, sta promuovendo incontri ed eventi che rafforzano l’importanza di un piano solido e integrato per la difesa dell’ambiente e dei diritti delle popolazioni tradizionali. Il manuale è un ulteriore passo per rafforzare il protagonismo delle comunità amazzoniche nella Cop30, ma la sua importanza va ben oltre l’evento. Mira a essere un punto di partenza per una mobilitazione collettiva in difesa di un futuro più giusto e sostenibile per il pianeta. La Rete Ecclesiale Pan-Amazzonica – REPAM Brasile – è una rete ecclesiale della Chiesa cattolica nell’Amazzonia Legale, che ha come obiettivo quello di promuovere la vita, per mezzo della cura dei popoli, dei territori e degli ecosistemi amazzonici e di accrescere la consapevolezza dell’importanza dell’Amazzonia per tutta l’umanità, per mezzo di un’azione socio-ecclesiale articolata in reti.  Essa dal 2014  è un’organizzazione che lavora a fianco delle comunità e dei movimenti sociali dell’Amazzonia, promuovendo il dialogo, l’articolazione e la difesa dei diritti umani, della giustizia climatica e della preservazione dell’ambiente. Recentemente ha ricordato anche all’attuale presidente Lula che il Brasile dovrà necessariamente uscire dall’uso dei combustibili fossili( petrolio) se vuole rientrare nei parametri improcrastinabili della COP 15 di Parigi per mantenere contenuta la temperatura sotto un 1,5 grado centigrado.  In questi giorni  Roma ospita la Conferenza delle Parti per la biodiversità, che riprenderà gli argomenti rimasti in sospeso a seguito della sospensione della COP16 a Cali, in Colombia, per mancanza di quorum. I temi cardine saranno i finanziamenti, i metodi di monitoraggio e l’integrazione con altri programmi. La crisi della biodiversità, infatti è strettamente legata alla disponibilità di risorse idriche e alimentari, alla salute e al cambiamento climatico e occorre un approccio olistico.

Tra i tanti problemi che affliggono le politiche ambientali c’è la pretesa di affrontare le questioni legate al mondo naturale per compartimenti stagni: si discute perciò di clima, di suolo, di plastica, di acqua, di aria e di biodiversità, ma anche di salute come se fossero tante tematiche separate. In realtà sono tutte parte di uno stesso complicato ingranaggio: se una delle rotelle si inceppa tutto il resto inizia a scricchiolare o ad andare fuori controllo. Di questi collegamenti e della necessità di considerarli parla il Nexus Report, approvato a Nairobi nel corso dell’undicesima plenaria dell’ IPBES, la piattaforma intergovernativa sulla biodiversità e i servizi ecosistemici. Il rapporto, frutto di tre anni di lavoro di un’equipe multidisciplinare formata da165 esperti provenienti da 57 Paesi, esplora le interconnessioni tra biodiversità, acqua, cibo, clima e salute, che sono strettissime. Un esempio eclatante è quello delle acque interne, ovvero fiumi, laghi e aree umide, a livello globale gli ecosistemi più impattati dalle attività antropiche, con una moltitudine di specie animali e vegetali a rischio, colpite da molteplici minacce, tra inquinamento, deviazione dei corsi d’acqua, cementificazione, drenaggio, barriere che ostacolano lo scorrimento delle acque. Le aree umide sono molto importanti per il contrasto e l’adattamento ai cambiamenti climatici, e al contempo ne sono affette. Circa l’80% delle acque interne viene utilizzata per la produzione di cibo; sono oltre 50 le malattie derivanti da una cattiva qualità delle acque.

Anche le barriere coralline stanno scomparendo sotto i nostri occhi, vittime dell’acidificazione dei mari. Con esse se ne va la meravigliosa e colorata meraviglia delle specie che tra i coralli vivono, ma scompare anche la protezione delle coste dall’erosione e dalle tempeste, il pesce di cui nutrirsi, nonché le economie locali basate sul turismo che va in cerca di quel colorato mondo e dello stupore che suscita. IPBES stima che le persone che risentiranno in modo grave della scomparsa delle barriere saranno quasi un miliardo, il 13% circa della popolazione globale. Il report, che ha analizzato oltre 6.500 fonti, tra studi scientifici, relazioni tecniche e anche conoscenze di popoli indigeni, ipotizza sei scenari futuri, basandosi su oltre 186 modelli. Due sono quelli attuali, il business as usual, in cui la priorità viene data o alla produzione di cibo o all’ipersfruttamento delle risorse naturali. In entrambi i casi al collasso delle risorse naturali corrisponde anche un aumento dei rischi per la salute, nonché per la sicurezza alimentare, dato che un mondo impoverito e turbato dalla crisi climatica non sarebbe più in grado di supportare la domanda. Non funzionano però nemmeno gli scenari in cui si da la priorità alla sola crisi climatica, o alla conservazione della natura: per esempio puntare solo sulle tecnologie di adattamento climatico può avere serie ripercussioni sulla biodiversità, e a catena sulla disponibilità di risorse. In sostanza, se si agisce su solo una delle componenti, senza tenere conto delle potenziali ripercussioni, i problemi verranno fuori da altre parti. Le prospettive più rosee e bilanciate si ottengono invece attraverso approcci integrati che combinano il rafforzamento della conservazione, il ripristino degli ambienti degradati, la produzione e il consumo sostenibile delle risorse, e azioni di mitigazione dei cambiamenti climatici. Solo in questi scenari si riesce a invertire la perdita di biodiversità ottenendo al contempo molteplici benefici per la qualità della vita umana, acqua, approvvigionamento alimentare e salute.

Ci sono numerose azioni che si possono adottare per sviluppare questi scenari di equilibrio: il report ne individua una settantina riconducibili a dieci categorie; la maggior parte è attuabile potenzialmente da subito, e include il ripristino ambientale, il consumo sostenibile, la riduzione degli inquinanti, la gestione del rischio. L’inclusione sociale nei processi decisivi è altrettanto fondamentale: ci sono infatti diversi esempi che dimostrano come le aree protette cogestite dai popoli indigeni hanno portato a un miglioramento della biodiversità e a un uso sostenibile delle risorse. Non c’è una risposta unica per ogni contesto, la sfida è globale, ma le soluzioni devono essere applicate nei contesti locali. Scenari positivi e soluzioni sono in linea con quanto già delineato dal Global Biodiversity Framework e dall’Agenda 2030. I problemi di attuazione sono diversi; tra questi, la frammentazione amministrativa e delle politiche, con compartimenti stagni che affrontano i vari problemi come fossero a se stanti, e che si focalizzano sull’immediato, con strategie che non hanno il lungo respiro necessario per poter effettivamente mettere in moto un meccanismo di cambiamento in positivo che riguardi tutte le componenti del nesso. Un altro report IPBES presentato alla plenaria di Nairobi è il “Trasformative change report”, che individua nella disconnessione con la natura e in una concezione prevalente del dominio umano su di essa la causa profonda della crisi globale della biodiversità. A essa si sommano la concentrazione iniqua di potere e ricchezza e la priorità data ai guadagni individuali e materiali sul breve termine. Il report quindi sottolinea l’urgenza di un cambiamento trasformativo nella società che comporti un riarrangiamento sistemico della visione sulla natura e le sue risorse, nelle pratiche, che devono essere più sostenibili, e nelle politiche che devono essere più inclusive e adattative rispetto alle crisi ambientali. Insomma la conservazione della biodiversità si può raggiungere solo attraverso un radicale cambio di passo, che porti a una società inclusiva e al superamento delle disparità: un discorso reale e molto sensato, ma che appare poco concreto, soprattutto nel contesto politico globale attuale.

Se tutto è connesso, dobbiamo affermare che la pace, la giustizia passano attraverso la custodia dell’unica casa comune nella quale dobbiamo tracciare cammini di fraternità, di multilateralismo e di cooperazione. La corsa al riarmo e la logica della soluzione violenta ai conflitti in atto non solo non aiuta ad uscire dalla spirale della guerra, ma allo stesso tempo arreca danni irreparabili all’ambiente e ai poveri della terra che sono costretti a emigrare in cerca di sopravvivenza verso il nord del mondo dove incontrano muri e filo spinato. Una parte del nord del mondo, quella suprematista bianca trumpiana, quell’ “ internazionale nera” delle autocrazie illiberali tecnocratiche e postdemocratiche “muskiane” e quella del turbocapitalismo estrattivista neocoloniale hanno già messo le mani sulle risorse minerarie e sulle “terre rare” dei popoli poveri. Questo non farà che aumentare i conflitti di appropriazione per le risorse in una cornice neoimperiale e di sfere di influenza che cancellano la democrazia partecipativa, i diritti umani dei popoli e la costruzione di società inclusive dei più poveri. Dovremo nel futuro prossimo rimettere mano alla Dottrina sociale della Chiesa e ribadire che i beni della terra sono dati a tutti e che la proprietà privata ha sempre una funzione sociale!

O ci salviamo insieme o non si salva nessuno! Se vogliamo celebrare un autentico giubileo della speranza dobbiamo applicare quanto papa Francesco ci dice nel messaggio per la 58 giornata della pace : remissione del debito estero ai paesi poveri, frutto di una finanza ingiusta, stop alla depredazione delle risorse dei popoli, smettere la corsa al riarmo che solo provoca morte e distruzione e arricchisce un’élite di straricchi, no ai sistemi penali di pena di morte. Si ad un’intelligenza artificiale che consenta di costruire un mondo di pace e di neoumanesimo per tutti. Si ad un’economia “ sabbatica”.  Con papa Francesco e con i suoi  “quattro sogni”, quello ecologico, culturale, pastorale e sociale (Querida Amazonia), anche i missionari vogliono “sporcarsi le mani” attraverso un tipo di evangelizzazione inculturata e liberatrice,  affinché’ le nuove generazioni possano vivere in un mondo pacifico, giusto e ecologicamente sostenibile. Non c’è più tempo per negare quanto è sotto gli occhi di tutti, questo è il tempo dello shalom di Dio, di pace, giustizia e fraternità che tutti insieme dobbiamo costruire.   

p. Gianni Manco (missionario Pime e teologo)

(Fonte: https://www.paxchristi.it/?p=28718)

23 marzo 2025