Sentenza in Cassazione ribadisce i criteri per apporre il Tricolore sui prodotti fatti in Italia
La Corte di Cassazione ha sentenziato che le etichette che richiamano la bandiera italiana tricolore confondono i consumatori sull’origine dei prodotti, specialmente se si tratta di prodotti alimentari o di capi abbigliamento. Il caso specifico sul quale la Corte si è espressa riguardava una produzione di vestiti che erano realizzati con tessuti italiani ma erano stati confezionati in Bulgaria.
La decisione dei giudici sottolineava che i produttori rumeni avevano giocato sull’equivoco, perché sulla manica dei cappotti c’era scritto “Fabric Made in Italy”. Ma la parola “fabric” in lingua inglese significa solamente tessuto, mentre per gli acquirenti italiani è più facile pensare a “fabbricazione” e dunque ad una produzione fatta in Italia, non al solo fatto che il capo d’abbigliamento è composto di tessuto proveniente dall’Italia.
Soprattutto c’era ben visibile un esplicito richiamo alla bandiera tricolore, con tre bande di bianco-rosso-verde che per i giudici di Cassazione erano “segni artatamente apposti per formare una fallace convinzione nel consumatore”.
Da queste evidenze, la sentenza ha ribadito che confondere i consumatori ingannandoli sull’origine del prodotto è un reato. Dice la legge che “si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come Made in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano”.
E la stessa legge punisce severamente chi ingenera confusione apponendo etichette ingannevoli del tipo “100% made in Italy“, “100% Italia”, “tutto italiano”. In questi casi è prevista la reclusione fino a 2 anni e dell’ammenda fino a 20.000 euro, aumentate fino a un terzo proprio per aver mentito sull’origine.