“Anche se l’animale non ha mai ricevuto antibiotici, né in incubatoio né in fase di allevamento, può essere comunque portatore di resistenza agli antibiotici perché il problema ormai è troppo esteso”. È a questa conclusione che sono giunti i ricercatori che hanno condotto l’indagine realizzata da Altroconsumo su 42 campioni di carne di pollo acquistata a Milano e Roma.
I test, condotti da Altroconsumo in sinergia con il programma di Raitre “Presa Diretta”, sono stati eseguiti su 42 campioni di petto di pollo, 21 acquistati a Milano e 21 a Roma. Di questi 10 sfusi, ossia di macelleria, 32 confezionati, 4 prodotti erano bio, 38 convenzionali. Ancora: 41 prodotti erano 100% italiani, 1 prodotto indicava in etichetta “Paese di nascita e macellazione: Bulgaria”. Inoltre, le etichette rispetto ai requisiti minimi di legge riportavano in più: 5 prodotti “allevato a terra”; 5 prodotti “allevato senza uso di antibiotici”, 5 prodotti “alimentazione no OGM”.
La resistenza agli antibiotici potrebbe trasferirsi pericolosamente anche all’uomo
Le analisi hanno verificato la presenza di 14 geni portatori di resistenza alle tetracicline; 4 ai beta-lattamici e 2 alla colistina, un antibiotico salvavita. Purtroppo in tutti i campioni sono stati rilevati uno o più geni portatori di resistenza (alle tetracicline e ai beta-lattamici) e tra i campioni di carne che in etichetta dichiaravano “allevato senza uso di antibiotici” in due casi la presenza di geni portatori di resistenza era analoga ai campioni convenzionali.
In Italia il 70% degli antibiotici venduti è destinato agli animali: in Europa siamo il terzo Paese, dopo Cipro e Spagna, per l’uso di questi farmaci negli animali da allevamento. Ogni anno, secondo quanto diffuso dall’Unione europea, muoiono 33mila persone a causa di infezioni dovute a batteri resistenti e la situazione è in continuo peggioramento.