È nata come una moda un po’ snob, per poi diffondersi secondo quei ‘misteriosi’ canali che i social media infiammano tra fake news e marketing scientifico. Di fatto comunque gli alimenti ai quali è stato dato il nome, ovviamente in inglese altrimenti non avrebbero successo, di “free from” l’anno scorso hanno superato i 6 miliardi di euro di vendite con un aumento del +2,3% sul 2015 ed arrivando a pesare per il 28,4% sul giro d’affari totale del largo consumo alimentare.
Si tratta di un universo molto variegato che va dai cibi “senza” olio di palma a quelli senza Ogm, da quelli senza zuccheri aggiunti o grassi fino a quelli, sconsigliati dai medici per le persone sane, senza glutine. L’Osservatorio Immagino di GS1 Italy e Nielsen ha scandagliato il richiamo al “free from” sulle etichette e sul packaging di ben 36 mila prodotti alimentari venduti in super e ipermercati di tutta Italia.
Alcune indicazioni sono effettivamente importanti quando si riferiscono ad additivi e conservanti
I conservanti sono i primi tra gli esclusi: dall’analisi dell’Osservatorio Immagino è emerso che il claim più diffuso nel mondo dei “free from” è “senza conservanti”, presente sull’8,5% dei 36mila prodotti alimentari monitorati per una quota complessiva del 12,7% sul giro d’affari complessivo. Si inseriscono nella stessa attenzione alla riduzione degli additivi anche il claim “senza coloranti”, che accomuna il 4,3% dei prodotti, quello “senza Ogm” (presente sull’1,9% delle etichette), il “senza grassi idrogenati” (1,7%) e il “senza aspartame” (0,1%).
Nello specifico le vendite a valore di tutti questi prodotti, però, sono in calo mentre crescono quelle “senza additivi”, presente sull’1,9% delle etichette e con un business in aumento annuo del 3,8%. Bilancio positivo anche per le vendite di prodotti “senza sale” (+15,2%), “senza olio di palma” (+13,5%), “senza zuccheri aggiunti” (+10,5%), “senza grassi saturi” (+6,9%), con “poche calorie” (+3,3%), privi o a minor contenuto di grassi (+2,2%) o di zuccheri (+2,1%).