L’Italia è tra i Paesi che ne consumano meno ma nemmeno le etichette possono essere una garanzia
Felice Adinolfi e Lucrezia Modesto hanno curato una dettagliata ricerca per il Centro Studi “Divulga” di Coldiretti, per capire cosa arriva sulle nostre tavole: dalle etichettature fuorvianti agli alimenti ‘mascherati’, cioè sottoposti a così tante manipolazioni da trasformarne le materie prime con l’aggiunta di agenti chimici dannosi per la salute.
Pubblicato con il titolo “Zombie Food”, il libro parte da una valutazione critica delle etichette che dovrebbero può essere la principale fonte di informazione per i consumatori e che purtroppo sono spesso fuorvianti. Ad esempio, il mercato alimentare è sempre più ricco di cibi ‘con’ e cibi ‘senza’. I primi sono arricchiti con l’aggiunta di elementi nutritivi non presenti negli ingredienti di base (sempre più frequente l’aggiunta di vitamine), i secondi sono con qualche elemento nutriente in meno: in entrambe i casi, al risultato si è giunti con processi di trasformazione che non hanno nulla di naturale.
Ed è ben noto che i cibi ultra processati sono spesso tutt’altro che salutari. Fortunatamente per ora l’Italia è tra i Paesi dove il consumo di alimenti ultra processati è più contenuto, arrivando solo al 14%: i bambini e gli adolescenti negli Stati Uniti e in Canada consumano alimenti ultra processati per il 65-70%.
Le sorprese più amare contenute in ‘Zombie Food’ vengono dal pane e dai cereali, prodotti ai quali il consumatore si affida solitamente fiducioso. Invece, secondo lo studio dimostra che, se non sempre spesso, il pane in vendita nei supermercati può arrivare a contenere fino a quindici ingredienti che con l’acqua, la farina e il lievito non hanno niente a che vedere. E peggio va ai cereali per la prima colazione che di additivi diversi posso assommarne anche una trentina.
Eppure questi prodotti sono per il palato più buoni: spiega ‘Zombie Food’ che “calibrando l’equilibrio tra sale, zuccheri e grassi si cerca quello che in letteratura viene definito “bliss point”, ovvero punto di beatitudine, funzionale a creare quanta più dipendenza possibile da un piacere a buon mercato e pronto da essere consumato”.