«Il sale è un bene prezioso, difficile, può essere dannoso in quantità non controllate, ma può essere anche un coadiuvante terapeutico per certi malanni»: lo dice Giampietro Comolli, consulente esterno dei parlamentari europei in Commissione agricoltura per Pac 2014-2020 e fondatore nel 1992 del Ceves, il centro studi ricerca vite-vini. «Non è vero che tutti i Sali sono uguali – continua – che tutti salano e insaporiscono allo stesso modo. Ci sono differenze anche enormi. Si può anche fare una classifica dei migliori, ma non esiste un sale migliore e più buono in assoluto né in Italia né nel mondo».
Così Ceves ha iniziato nel 2017 una ricerca sul sale: sono stati raccolti, acquistati, analizzati, provati e assaggiati 107 tipi di sale proveniente da tutto il mondo destinati alla salatura di cibi naturali grezzi, alla salamoia di alimenti lavorati e trasformati, al condimento in cucina e in tavole domestiche e dei ristoranti. Sali marini, di miniera, di roccia, di lago, di fiume; sali integrali originali, modificati con additivi, metodi lavaggio, commerciali diversi con aggiunte aromatiche e/o speziati e/o colorati. In due anni i dati tecnici raccolti sul sale mondiale sono stati circa 12.000.
Il sale marino cambia a seconda delle stagioni, quello di miniera è povero di microelementi organici
Dato lo sviluppo della ricerca, Ceves ritiene sia necessario rendere obbligatoria una etichetta parlante per il sale che indichi il contenuto non solo del sodio o dello iodio, ma che specifichi la composizione dei minerali, dei microelementi organici e inorganici, delle differenze sostanziali fra sale di miniera e sale marino, che cosa è e come esistono sali diversamente colorati, le quantità da consumare. Inoltre sarebbe opportuno che anche le etichette al consumo di alimenti trattati con il sale, evidenziassero quanto sodio realmente è presente.